Questo articolo e' stato tratto dal numero di aprile 1997 di "Le Scienze". Ringraziamo la redazione della rivista per averci concesso di riportarlo sul nostro sito. Gli autori dell'articolo sono Neal D.Barnard e Stephen R.Kaufman.
L'impiego di animali nella ricerca e nei test e'
solo una delle numerose procedure di indagine disponibili. Secondo noi,
la sperimentazione animale, pur essendo talvolta promettente dal punto di
vista teorico, non e' molto adatta ad affrontare i problemi sanitari piu'
gravi, come quelli relativi alle malattie cardiovascolari, al cancro, agli
ictus, all'AIDS e alle malattie congenite. In molti casi, gli esperimenti
sugli animali possono fuorviare i ricercatori o addirittura possono
causare la malattia o il decesso di pazienti, non essendo idonei a far
prevedere gli effetti tossici che i farmaci possono avere nell'uomo.
Fortunatamente si puo' ricorrere a metodi piu' affidabili, che rappresentano
un investimento assai migliore dei fondi di ricerca.
I primi passi di una scoperta scientifica coincidono spesso con osservazioni
inaspettate, che costringono i ricercatori a riconsiderare le teorie
esistenti e a formulare ipotesi che spieghino meglio i loro dati. Molte
delle anomalie osservate negli esperimenti sugli animali sono, invece, dovute
semplicemente alla peculiare fisiologia della specie in esame, ai mezzi
innaturali con i quali la malattia e' stata indotta o all'ambiente stressante
del laboratorio. Situazioni del genere sono estranee alla patologia umana e
verificare le ipotesi tratte da queste osservazioni e' una perdita di tempo
e danaro.
Gli animali vengono prevalentemente utilizzati in laboratorio come "modelli":
mediante manipolazione genetica, interventi chirurgici o iniezione di
sostanze estranee, i ricercatori producono in essi
patologie che costituiscono un modello delle condizioni umane. Questo
paradigma della ricerca e' pero' irto di difficoltà. Le pressioni evolutive
hanno prodotto sottili, ma significative, differenze tra le specie.
Ogni specie ha molteplici sistemi di organi che hanno interazioni complesse.
Uno stimolo applicato a un particolare sistema di organi perturba l'insieme
delle funzioni organiche secondo modalita' spesso imprevedibili.
Questa incertezza mina gravemente la possibilita' di estrapolare i dati
ottenuti con un animale ad altre specie animali, uomo compreso.
Risultati fuorvianti, ottenuti in esperimenti sugli
animali hanno in molti casi addirittura ritardato i progressi in campo medico.
David Wiebers e collaboratori, della Mayo Clinic, descrissero nel 1990 sulla
rivista "Stroke" uno studio in cui si dimostrava che su 25 composti in grado
di ridurre nei roditori, nei gatti e in altri animali il danno da ischemia
cerebrale nessuno risultava efficace nell'uomo. Essi attribuirono questi
risultati deludenti a disparita' tra il modo in cui gli ictus si manifestano
naturalmente nei soggetti umani e il modo in cui essi sono stati indotti
sperimentalmente negli animali. Per esempio, un animale sano colpito da un
ictus non subisce quel danno progressivo delle arterie che svolge
generalmente un ruolo cruciale negli ictus che colpiscono i soggetti umani.
Negli anni venti e trenta, gli studi sulle scimmie portarono a grossolani
errori di valutazione, che causarono ritardi nella lotta contro la
poliomielite. Quegli esperimenti indicavano che il poliovirus infettava
principalmente il sistema nervoso; in seguito, si stabili' che cio' avveniva
perche' i ceppi virali somministrati per via nasale avevano sviluppato
artificialmente un'affinità per il tessuto cerebrale. La conclusione errata,
che contraddiceva i precedenti studi sull'uomo, secondo cui la via primaria
di infezione era il sistema
gastrointestinale, fece indirizzare male le
misure preventive e ritardo' la produzione
di un vaccino. Nel 1949 la ricerca su cellule umane in vitro dimostro' per
la prima volta che il virus poteva essere coltivato
su tessuti non nervosi, prelevati dall'intestino e dagli arti. Ma ancora
agli inizi degli anni cinquanta, venivano utilizzate
per la produzione di vaccini cellule di
scimmie; di conseguenza, milioni di individui furono esposti a
virus delle scimmie, potenzialmente dannosi.
Un'ulteriore dimostrazione dell'inadeguatezza della ricerca sugli animali si
ebbe negli anni sessanta. Gli scienziati dedussero da numerosi esperimenti su
animali che il fumo di tabacco inalato non
causava carcinomi polmonari (in realta' il
catrame, spalmato sulla cute dei roditori
faceva sviluppare tumori, ma questi risultati furono giudicati meno
importanti degli studi sul fumo inalato). Per molti
anni ancora la lobby del tabacco riusci' a
sfruttare questi studi per ritardare i
provvedimenti governativi e per scoraggiare i
medici dall'intervenire nelle abitudini
dei loro pazienti riguardo al fumo.
Come e' ben noto, gli studi sulla popolazione umana hanno fornito prove
inequivocabili sulla connessione tra cancro
e tabacco e recenti ricerche sul DNA
umano hanno permesso di identificare il
"bersaglio" del fumo da tabacco, dimostrando come un derivato della sostanza
cancerogena benzopirene prenda di mira i
i geni umani, provocando il cancro.
La ricerca sul cancro ha messo in particolare evidenza le disparita' tra
fisiologia degli esseri umani e fisiologia degli
altri animali. Molti tra questi, particolarmente ratti e topi, sintetizzano
nel loro organismo circa 100 volte la quantita' di
vitamina C consigliata giornalmente per prevenire il cancro nell'uomo.
Lo stress che un animale subisce per il fatto di essere manipolato, messo in
un ambiente ristretto e in isolamento altera la sua fisiologia e introduce
un'ulteriore variabile sperimentale, che rende ancora piu' difficoltosa
l'estrapolazione dei risultati agli esseri umani. Lo stress sugli animali
in laboratorio puo' fare aumentare la suscettibilità a malattie infettive
e a certi tumori, come pure puo' influenzare i livelli degli ormoni e degli
anticorpi, i quali a loro volta possono alterare il funzionamento di vari
organi.
Oltre che nella ricerca medica, gli animali vengono anche utilizzati in
laboratorio per verificare l'innocuita' di farmaci e altre sostanze chimiche.
Anche in questo caso i test possono rivelarsi inutili o controproducenti in
quanto in specie diverse danno spesso risultati contrastanti. Per esempio,
nel 1988 Lester Lave della Carnegie Mellon University ha riferito, sulla
rivista "Nature", che esperimenti condotti sia su ratti sia su topi, per
verificare il potere cancerogeno di 214 composti, hanno dato risultati
concordanti solo nel 70 per cento dei casi. A maggior ragione la
correlazione tra roditori ed esseri umani dovrebbe essere piu' bassa.
David Salsburg della Pfizer Central Research, utilizzando gli standard
stabiliti dal National Cancer Institute, ha notato che, su 19 sostanze
chimiche, note per essere cancerogene nell'uomo, solo sette causano il cancro
nei topi e nei ratti.
In effetti, molte sostanze che sembravano sicure negli studi condotti sugli
animali e che avevano ricevuto l'approvazione della Food and Drug
Administration per essere utilizzate in soggetti umani, sono risultate, in
seguito, pericolose. Il milrinone, un farmaco che fa aumentare la gittata
cardiaca, accresce la sopravvivenza dei ratti affetti da un'insufficienza
cardiaca indotta artificialmente. Invece, nei pazienti umani con una grave
insufficienza cardiaca cronica la somministrazione dello stesso farmaco ha
fatto registrare un incremento di mortalita' del 30 per cento.
La fialuridina, un farmaco antivirale, sembrava sicura nelle prove
eseguite sugli animali, mentre ha causato grave insufficienza epatica in
sette pazienti su 15 (cinque di essi sono morti a causa del trattamento e
due sono stati sottoposti a trapianti di fegato). Agli inizi degli anni
ottanta l'antidolorifico zomepirac era ampiamente usato ma, dopo essere
stato implicato in ben 14 decessi e in centinaia di reazioni allergiche che
avevano messo a repentaglio la vita dei pazienti, e' stato ritirato dal
commercio. La nomifensina, un antidepressivo con tossicita' minima nei
ratti, nei conigli, nei cani e nelle scimmie, ha provocato negli esseri
umani tossicosi epatica e anemia, effetti rari ma gravi, e talvolta fatali,
che hanno costretto il produttore a ritirare il farmaco dal commercio
pochi mesi dopo averlo introdotto nel 1985.
Questi terribili errori non sono semplici aneddoti. Il General Accounting
Office statunitense ha passato in rassegna 198 nuovi farmaci dei 209
commercializzati tra il 1976 e il 1985 e ha trovato che, per il 52 per cento,
essi presentavano "gravi rischi emersi dopo l'approvazione" e non previsti
dai test sugli animali o su prove limitate, effettuate su esseri umani.
Questi rischi sono stati definiti come reazioni avverse, che potevano portare
al ricovero in ospedale, a invalidita' o addirittura a morte.
Come risultato, i farmaci suddetti hanno dovuto essere corredati da nuove
istruzioni o ritirati dal commercio. E, naturalmente, non e' possibile
stimare quanti farmaci, potenzialmente utili, siano stati abbandonati sulla
base di test fuorvianti.
I ricercatori hanno a disposizione metodi migliori
dei test sugli animali: studi epidemiologici, sperimentazioni cliniche,
osservazioni cliniche sostenute da test di laboratorio, coltura in vitro di
cellule e tessuti, studi autoptici, esami endoscopici e biopsie, metodi di
indagine per immagini. E l'epidemiologia molecolare, una scienza emergente
che collega i fattori genetici, metabolici e biochimici a dati epidemiologici
sull'incidenza delle malattie, promette di diventare uno strumento prezioso
per identificare le cause delle malattie umane.
Si consideri il successo delle ricerche sulle malattie cardiovascolari.
Le prime indagini epidemiologiche compiute su esseri umani hanno evidenziato
i principali fattori di rischio per la malattia cardiaca, tra cui l'alto
tasso di colesterolo, il fumo e l'ipertensione arteriosa. I ricercatori
hanno quindi agito su questi fattori in prove controllate, eseguite in
soggetti umani, per esempio nel multicentrico Lipid Research Clinics Trial,
realizzato negli anni settanta e ottanta. Questi studi hanno illustrato,
tra le molte altre cose, che abbassare dell'1 per cento il tasso di
colesterolo ematico riduceva di almeno il 2 per cento il rischio di malattia
cardiaca. I risultati delle autopsie e gli esami biochimici hanno chiarito
l'esistenza di ulteriori legami tra fattori di rischio e malattia,
indicando che i soggetti con diete a elevato contenuto di grassi subiscono
precocemente, nel corso dell'esistenza, alterazioni a carico delle arterie.
E studi su pazienti con malattie cardiache hanno indicato che, adottando una
dieta vegetariana a basso contenuto di grassi, effettuando esercizio fisico
regolare, interrompendo l'abitudine al fumo e controllando lo stato di
tensione, le placche aterosclerotiche possono diminuire.
Analogamente, studi sull'infezione da HIV effettuati sull'uomo hanno
chiarito come viene trasmesso il virus e hanno indirizzato i programmi di
intervento. Ricerche in vitro con cellule e siero umani hanno pemnesso di
identificare il virus dell'AIDS e di capire come provochi la malattia.
Gli studi in vitro sono stati utilizzati anche per stabilire l'efficacia e
l'innocuita' di importanti farmaci contro l'AIDS, come l'AZT, il 3TC e gli
inibitori delle proteasi. Dalle indagini su soggetti umani stanno anche
emergendo nuove ipotesi come quelle relative all'esistenza di fattori
genetici e ambientali che contribuiscono a determinare la malattia o
conferiscono resistenza a essa.
Certamente sono molti gli animali utilizzati nella ricerca sull'AIDS, ma
senza grandi risultati tangibili. Per esempio, gli studi sulle scimmie, di
cui si e' tanto parlato e che si sono serviti del virus dell'immunodeficienza
delle scimmie (SIV)
in condizioni innaturali, hanno fatto ritenere che il sesso orale comporti
un rischio di trasmissione. Non hanno contribuito pero' a chiarire se con
questa modalita' l'HIV venga o meno trasmesso nei soggetti umani. In
altri casi, gli studi su animali hanno fornito informazioni gia' note
attraverso altri esperimenti. Nel 1993 e 1994 Gerard J.Nuovo e
collaboratori alla State University di New York a Stony Brook hanno
determinato il percorso effettuato nel corpo femminile dall'HIV (il virus
attraversa le cellule della cervice e passa, quindi, ai vicini linfonodi),
utilizzando studi su campioni di cervice e di linfonodi umani. In seguito,
gli sperimentatori della New York University hanno introdotto il SIV nella
vagina di femmine di reso, quindi hanno ucciso e dissezionato questi animali;
il loro lavoro, pubblicato nel 1996, e' giunto alla stessa conclusione
circa il percorso compiuto dal virus rispetto ai precedenti studi condotti
su soggetti umani.
Le ricerche sulle malattie congenite si sono basate molto sulla
sperimentazione animale, dimostrando tuttavia una scarsa capacita' di
previsione riguardo all'uomo. L'incidenza della maggior parte delle
malattie congenite e' in costante aumento. Servono studi epidemiologici
per risalire ai possibili fattori genetici e ambientali associati a questo
tipo di infermita', proprio come gli studi sull'uomo hanno permesso di
collegare il carcinoma polmonare al fumo e le malattie cardiache al
colesterolo. Queste indagini hanno gia' fornito informazioni di vitale
importanza (l'individuazione della connessione tra alterazioni del tubo
neurale e carenza di acido folico e l'identificazione della sindrome
fetale da alcool). Tuttavia, sono indispensabili altre ricerche sull'uomo.
Le osservazioni su soggetti umani si sono dimostrate di incalcolabile
importanza anche nella ricerca sul cancro. Parecchi studi hanno dimostrato
che i pazienti affetti da questa malattia, che seguono diete povere di
grassi e ricche di ortaggi e frutta, vivono piu' a lungo e hanno minor
rischio di recidive. Dobbiamo ora verificare quali diete specifiche siano
piu' utili nei vari tipi di cancro.
La questione di quale ruolo abbia avuto la sperimentazione animale in
passato non ha importanza per quanto riguarda l'attuale ricerca o il
controllo dell'innocuita' di un trattamento. Prima che fossero elaborate
le tecniche di coltura in vitro, gli animali erano usati abitualmente per
ospitare agenti infettivi. Vi sono oggi poche malattie per le quali si
procede ancora cosi': i metodi moderni per la produzione di vaccini sono
piu' sicuri ed efficaci. I test di tossicita' per valutare l'effetto dei
farmaci sono stati in gran parte sostituiti da test di laboratorio
sofisticati, senza la partecipazione di animali.
I "modelli" animali sono, nel migliore dei casi,
una buona imitazione delle condizioni umane, ma nessuna teoria puo' essere
approvata o respinta sulla base di un'analogia. Cionondimeno, quando si
discute sulla validita' di teorie contrapposte in medicina e in biologia,
si citano spesso come prova gli studi condotti su animali. In un contesto di
questo tipo, gli esperimenti sugli animali servono, in primo luogo, come
accorgimento retorico. E, utilizzando differenti tipi di animali in
differenti protocolli, gli sperimentatori possono trovare prove a sostegno
di qualunque teoria. Per esempio, si sono utilizzati esperimenti sugli
animali sia per provare sia per negare il ruolo cancerogeno del fumo.
I famosi esperimenti di Harry Harlow sulle scimmie, realizzati negli anni
sessanta all'Universita' del Wisconsin, hanno comportato la separazione dei
piccoli dalle madri e il mantenimento di alcuni di loro in isolamento per un
anno. Essi hanno danneggiato i piccoli sul piano emotivo e sono solo
serviti a dimostrare la necessita' del contatto con la madre, un fatto gia'
ben stabilito dalle osservazioni compiute su bambini in tenera eta'.
Chi svolge ricerche con animali difende il proprio lavoro citando il ruolo
svolto nel passato dagli esperimenti sugli animali nei progressi compiuti
dalla medicina. Queste interpretazioni sono spesso errate. Per esempio,
i sostenitori dell'impiego di animali puntano spesso sul significato che questi
hanno avuto
nella ricerca sul diabete, mentre studi effettuati sull'uomo da Thomas Cawley,
Richard Bright e Apollinaire Bouchardat, nei secoli XVIII e XIX, avevano gia'
evidenziato l'importanza delle lesioni a carico del pancreas nel diabete.
Inoltre, gli studi su soggetti umani, compiuti nel 1869 da Paul Langerhans,
hanno condotto alla scoperta delle cellule pancreatiche che producono
insulina. A dire il vero, bovini e suini sono stati, in passato, le fonti
primarie di insulina, ma oggi
l'insulina prodotta attraverso le biotecnologie rappresenta l'agente
terapeutico
standard che ha rivoluzionato il modo in
cui i diabetici riescono a convivere con
la loro malattia.
Anche a proposito dei famigerati effetti del talidomide, qualcuno ha
sostenuto che test su animali avrebbero potuto
far prevedere le alterazioni provocate dal
farmaco. Eppure la maggior parte delle
specie utilizzate in laboratorio non presenta quel tipo di alterazione degli
arti
che si osserva nei figli delle donne che
hanno assunto talidomide in gravidanza;
cio' avviene solo nei conigli e in alcuni
primati. In quasi tutti i test riguardanti le
malattie congenite non e' facile decidere
se gli esseri umani sono più simili agli
animali che sviluppano tare congenite o
a quelli che non le sviluppano.
In questo articolo non abbiamo accennato alle obiezioni etiche alla sperimentazione
animale. Negli ultimi decenni,
gli scienziati hanno imparato ad apprezzare la grande complessita' della
vita degli animali, compresa la capacita' di comunicare, le strutture
sociali e i repertori
emozionali. Ma anche le sole questioni
pragmatiche dovrebbero bastare a spingere scienziati e Governi a dare una
diversa destinazione ai fondi per la ricerca.
NEAL D.BARNARD e STEPHEN R.KAUFMAN sono entrambi medici. Il primo svolge studi sulla nutrizione ed e' presidente del Physicians Committee for Responsible Medicine. Kaufman e' copresidente del Medical Research Modernization Committee.
Crimini nascosti
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