di Stefano Cagno, medico psichiatra, ottobre 2005
Nell'ormai lontano 1986 fu redatta e divulgata la Dichiarazione di Siviglia sulla violenza. All'epoca diversi studiosi, provenienti da tutto il mondo, si erano riuniti a Siviglia con lo scopo di contestare alcune presunte scoperte biologiche che erano state usate per giustificare la violenza e la guerra. Questi scienziati dichiaravano di voler dare un contributo rilevante all'Anno Internazionale della Pace, dimostrando "scientificamente" che gli esseri umani non sono "intrinsecamente" e "biologicamente" violenti, ma "che la biologia non condanna l'umanità alla guerra e che l'umanità può essere liberata dalla schiavitù del pessimismo biologico e trovare la fiducia di cui ha bisogno per realizzare i cambiamenti necessari in questo Anno Internazionale della Pace e nei prossimi anni".
Fino a questo punto sembrerebbe questa una lodevole iniziativa da parte di alcuni studiosi cui stava veramente a cuore il tema della pace. La lettura, però, della Dichiarazione contiene innumerevoli citazione di esperimenti di vivisezione che costituiscono lo scheletro delle argomentazioni che dovrebbero dimostrare che gli esseri umani non sono geneticamente programmati alla violenza e alla guerra.
Esistono diverse strategie per indurre gli animali da laboratorio ad essere aggressivi, ossia violenti. In maniera schematica possiamo affermare che, o si agisce sull'ambiente o si agisce sulla biologia. Nel primo caso mettiamo l'animale nelle condizioni di subire danni o sofferenza dall'esterno. Storicamente i ricercatori hanno somministrato scosse elettriche agli animali attraverso il fondo della gabbia, oppure attraverso elettrodi infissi direttamente nel cervello. Oppure hanno scaldato il fondo delle gabbie, o in generale provocato dolore fisico. Un'altra strategia è stata, ad esempio, quella di affamare gli animali e di valutare successivamente il loro comportamento, oppure di somministrate sostanze psicoattive, ossia che agiscono sulla psiche e quindi, anche in questo caso, valutare le modificazioni comportamentali.
Recentemente l'ingegneria genetica ha permesso di modificare il DNA di alcune specie, alterandone i caratteri somatici e il loro funzionamento biologico. Un esempio può essere quello di inserire l'ormone della crescita dei ratti, che sono più grossi e più aggressivi, nei topi che in questo modo diventano "topi giganti".
Sebbene tutte le specie animali vorrebbero non soffrire e ne avrebbero il diritto, indipendentemente dal loro grado evolutivo e dal loro aspetto fisico esteriore più o meno accattivante per gli esseri umani, è un dato di fatto che alcune specie godano di particolari attenzioni, poiché tutti noi siamo abituati a conviverci, o ad avere comunque qualche forma di contatto ravvicinato: parlo di cani e gatti. Le scimmie, invece, ottengono maggiori protezioni poiché sono a noi particolarmente vicine dal punto di vista evolutivo. Tutte queste specie poi sono poco utilizzate dai vivisettori soprattutto perché più costose e meno facilmente gestibili rispetto ai roditori. A parte queste considerazioni, è un dato di fatto che, ad esempio, le scimmie antropomorfe (scimpanzé, oranghi, gibboni e bonobi) non siano praticamente più utilizzate da tempo, almeno in Italia.
Per stilare la Dichiarazione di Siviglia, i ricercatori hanno utilizzato proprio le ricerche condotte sulle specie più evolute ed i mezzi più violenti e crudeli. Di seguito alcune frasi tratte dal documento.
"Negli animali è possibile effettuare degli esperimenti in cui i geni vengono trapiantati da un animale ad un altro".
" ... José Delgado e i suoi collaboratori hanno dimostrato che il comportamento aggressivo evocato dalla stimolazione elettrica del cervello può essere manifestato da una scimmia non antropomorfa nei riguardi di un avversario di rango inferiore, ma non nei riguardi di un avversario dominante. In un esperimento simile su scimmie antropomorfe, la stimolazione elettrica del cervello di un gibbone produceva un comportamento aggressivo in laboratorio, ma non in un ambiente naturale".
"La maggior parte delle ricerche sui meccanismi cerebrali del comportamento aggressivo è stata effettuata in laboratorio su ratti e gatti...".
Normalmente i vivisettori giustificano le loro ricerche con la considerazione che, secondo loro, gli animali sono sufficientemente simili a noi per essere un valido modello sperimentale e, così, probabilmente tutti quelli che ritengono la violenza della nostra specie qualcosa di contiguo alla violenza e all'aggressività delle altre specie.
I firmatari della Dichiarazione di Siviglia, al contrario, ritengono che su questo argomento esseri umani ed animali abbiano impostazioni e comportamenti differenti. Così si può leggere che "La guerra è un fenomeno tipicamente umano e non si ritrova nelle altre specie animali. Il fatto che i modi di fare la guerra siano cambiati così radicalmente nelle varie epoche indica che essa è un prodotto della cultura". "Invece la guerra umana si è modificata secondo modalità chiaramente legate all'evoluzione culturale piuttosto che a quella biologica".
Quindi queste dichiarazioni sono un ulteriore dimostrazione che proprio il cosiddetto "modello animale" non può fornire informazioni omologhe a quelle della nostra specie. Ed ancora si può leggere che: " ... è l'interazione fra il loro patrimonio genetico (degli individui n.d.a.) e le condizioni in cui sono stati allevati che determina la loro personalità". Ma se la personalità è l'interazione tra geni ed ambiente, se noi vogliamo capire se c'è una similitudine tra la violenza degli essere umani e degli animali, dobbiamo studiare come questi ultimi si comportano nel loro ambiente naturale, ossia quando sono spontanei. In laboratorio io posso indurre negli animali qualsiasi comportamento anormale o abnorme e che, quindi, non è tipico della specie. Perché allora gli autori non hanno citato per difendere la loro tesi, le evidenze che si sono ottenute attraverso le ricerche etologiche? Loro stessi in un altro passaggio, affermano che: "Quando questi animali iperaggressivi creati sperimentalmente sono inseriti in un gruppo sociale, o ne disgregano la struttura o ne vengono espulsi". Quindi gli stessi vivisettori dicono che il comportamento degli animali nei laboratori differisce da quello spontaneo messo in atto in ambiente naturale.
Insomma, come per quanto riguarda i risultati delle ricerche sui farmaci, in cui cambiando la specie, cambio anche il risultato in modo da ottenere quello che è funzionale al mio obiettivo (leggi commercializzare il farmaco), così anche in questo caso modificando le condizioni sperimentali alcuni ricercatori hanno dimostrato che la violenza umana ha un continuum etologico che discende dalle altre specie meno evolute, mentre altri, in questo caso i firmatari della Dichiarazione di Siviglia, hanno dimostrato il contrario. Difficile poter chiamare tutto ciò Scienza!
Nel testo della Dichiarazione di Siviglia si legge in fondo una nota dei curatori del sito, che prendono le distanze dalla "sperimentazione animale", ma in maniera a dire poco sconcertante. Infatti affermano che: "Gli autori di questo sito tengono a precisare di essere contrari alla sperimentazione sugli animali, poiché la considerano una forma di violenza nei riguardi di esseri più deboli, capaci di sofferenza. Ciò non significa che non si debbano utilizzare le conoscenze che sono già state acquisite per mezzo di questo tipo di sperimentazione". Insomma come se un mio conoscente che spaccia eroina, mi proponesse di regalarmi un po' di soldi ottenuti proprio attraverso questa attività e io li accettassi perché ormai l'eroina è già stata spacciata e quindi è meglio comunque utilizzare i vantaggi derivanti.
Personalmente, nel caso della vivisezione, ritengo non esista nemmeno la possibilità di utilizzare comunque i risultati, poiché le conoscenze sul comportamento degli animali sono state ottenute dagli etologi che li hanno studiati in ambiente naturale, come, persino in alcuni passi della Dichiarazione di Siviglia, viene affermato, e non dai vivisettori.
Le motivazioni che spingono i ricercatori a cercare nei laboratori di capire le dinamiche che generano l'aggressività e la violenza, anziché cercarle in maniera più corretta e coerente in ambiente naturale e non artificiale, sono splendidamente riassunte proprio da un vivisettore che, per quasi tutta la vita, ha compiuto proprio questi esperimenti.
Il dottor Roger Ulrich è stato uno dei ricercatori più famosi nel campo dell'aggressività. Dal 1962 e per molti anni ha lavorato presso l'Università del Michigan occidentale. Le sue ricerche consistevano nel provocare dolore negli animali e nell'osservare il loro comportamento aggressivo. Per ottenere ciò somministrava forti scariche elettriche attraverso il pavimento delle gabbie in cui si trovavano gli animali: una volta arrivò a somministrare ad una coppia di ratti quindicimila scariche in sette ore e mezzo, un'altra volta sottopose cinque ratti a scariche elettriche per ottanta giorni. Successivamente provò a riscaldare il fondo della gabbia per fare saltare gli animali che si leccavano le zampe, ma anche ad un altro paio di ratti furono strappati i baffi e successivamente furono resi ciechi togliendo gli occhi (Pratt D. Painful, Experiments of Animals, Argus Archives, 1976).
Dopo molti anni di esperimenti sugli animali però il dottor Ulrich cambiò idea e su Monitor, la rivista dell'Associazione degli psicologi americani, spiegò il percorso che lo aveva portato a rinnegare quanto aveva compiuto in passato. "Inizialmente la mia ricerca era alimentata dal desiderio di capire ed aiutare a risolvere il problema dell'aggressività umana, - scriveva Ulrich - ma in seguito mi resi conto che i risultati del mio lavoro non giustificavano la continuazione delle prove. Cominciai invece a domandarmi se non fossero i riconoscimenti finanziari, il prestigio professionale, la possibilità di viaggiare, eccetera, a spingermi e se noi della comunità scientifica (sostenuta dal sistema burocratico e legislativo) non fossimo parte integrante del problema. Analizziamo i seguenti dati: la privazione del cibo o di altri fattori di sostentamento producono aggressività negli animali; se pensiamo che gli Stati Uniti, che contano meno del cinque per cento della popolazione mondiale, consumano il quarantacinque per cento delle risorse e dell'energia mondiali, allora noi diventiamo causa dell'aggressività e della rabbia dei popoli affamati. Quando ebbi terminato di scrivere la mia dissertazione sull'aggressività scatenata dal dolore, mia madre, che è Mennonita, mi chiese di cosa si trattasse. Dopo averle spiegato mi rispose: "Beh, lo sapevamo. Papà ci ha sempre detto di stare lontano dagli animali sofferenti perché possono attaccarci". Oggi, guardo indietro con amore e rispetto a tutti i miei amici animali, dai ratti alle scimmie, che per anni furono sottoposti a torture e come mia madre posso dire: beh, lo sapevamo" (R. Sharpe, L'inganno crudele, Edizioni Borla, pag 246, 1992).
La Dichiarazione di Siviglia si conclude con queste parole: "Così come "le guerre cominciano nella mente degli esseri umani", anche la pace comincia nella loro mente. La stessa specie che ha inventato la guerra può inventare la pace. In questo compito ciascuno di noi ha la sua parte di responsabilità".
Concetti questi assolutamente condivisibili che dimostrano come gli stessi firmatari della Dichiarazione di Siviglia hanno contribuito a perpetuare la violenza in maniera sistematica nei confronti delle altre specie, ossia di essere viventi più deboli. E la violenza nei confronti dei più deboli, di quanti non si possono nemmeno difendere, è l'esempio più odioso della codardia di alcuni esseri umani. I firmatari hanno dimostrato loro stessi di non voler cambiare e di confermare che la guerra e la violenza sistematizzata, organizzata e finalizzata ad interessi personali e "specifici", è una triste e vergognosa caratteristica del genere umano. In questo caso "pace" nella mente dei firmatari della Dichiarazione di Siviglia è una parola astratta, solo un'occasione per farsi un po' di pubblicità.
Stefano Cagno
Crimini nascosti
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