di Marina Berati, settembre 2004
Noi antivivisezionisti siamo soliti dire che le cose che il singolo cittadino come "consumatore" (non come attivista) può fare per contrastare la vivisezione, o, almeno, non contribuire a sostenerla, sono solo due: scegliere i cosmetici "cruelty-free" ed evitare di dare donazioni alle associazioni per la ricerca medica che li usano per fare ricerca su animali (che sono poi quasi tutte). Su questi due aspetti non mi dilungo, perché è tutto spiegato in due siti specifici: www.consumoconsapevole.org e www.novivisezione.org/campagne/ricerca_di_base.htm.
Riguardo ai farmaci, si invita a non usarli se non necessari e ad utilizzare invece preparati a base vegetale, per i "piccoli malanni"; ma, se si decide di usarli, per qualche malessere più grave, si sa che saranno senz'altro testati su animali. E non si ha possibilità di scelta.
Ebbene... non è più esattamente così, oggi c'è una scelta anche per i farmaci, una scelta molto simile, ma, per molti versi, immensamente più semplice, a quella esistente per i cosmetici. Si tratta dei "farmaci generici".
Occorre sapere che i nomi dei vari farmaci sono nomi di fantasia che le ditte produttrici adottano, ma ciascuno di essi è formato essenzialmente da un principio attivo (il resto sono eccipienti) che ha un nome universalmente condiviso. Così, se un certo farmaco si chiama in Italia X, in USA Y e in India Z, il suo principio attivo si chiamerà invece allo stesso modo in tutto il mondo. Ed è quello che identifica realmente un farmaco. Identifica non solo come nome, ma come composizione e quindi, come effetto su chi lo consuma.
Quel che accade è che dopo un certo numero di anni (in Italia, 20) il brevetto su un dato farmaco scade, e chiunque, qualunque produttore, può iniziare a produrre lo stesso farmaco, che si chiamerà "generico". In pratica, la struttura del suo principio attivo o la sua composizione, precedentemente tutelata da brevetto, è ora pubblica, accessibile a tutti, "generica", e tutte le altre industrie farmaceutiche possono riprodurla e commercializzarla dopo averne chiesto a ed ottenuto dal Ministero della Salute l'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC).
Il farmaco generico è uguale identico a quello "di marca": deve avere lo stesso principio attivo, presente alla medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche.
Per queste sue caratteristiche si dà per scontato che il generico abbia la stessa efficacia e sicurezza di quello che sostituisce. Di conseguenza, la procedura per ottenere l'AIC è abbreviata e richiede solamente prove di bioequivalenza cinetica (riferita cioè al prodotto finito e non solo al principio attivo) alla corrispondente specialità medicinale. Questi test si svolgono solo su persone "volontarie" (in realtà pagate profumatamente, come tuttele cavie umane) sane. Tali test non sono necessari qualora:
I generici, a differenza delle specialità medicinali, non hanno un nome di fantasia (marchio registrato) ma sono commercializzati con il nome comune del principio attivo eventualmente seguito dal nome dell'azienda produttrice. Per evitare confusioni, si utilizza la Denominazione Comune Internazionale (DCI) che è un'abbreviazione del nome chimico del principio attivo (di solito troppo lungo).
Vale lo stesso principio dello Standard "senza crudeltà" valido per i cosmetici: sappiamo ormai tutti che non è vero che i cosmetici definiti "senza crudeltà" non sono stati testati su animali. I loro ingredienti sono stati testati di sicuro su animali per essere messi in commercio (almeno, per quelli commercializzati dopo il 1976). Però le ditte che li producono si impegnano a non usare più nuovi ingredienti, cioè ingredienti commercializzati DOPO un certo anno (a scelta dlela singola ditta, ad esempio 1992, 1996, ecc.). Il che equivale a non incrementare la vivisezione. Perché ogni ingrediente NUOVO va testato su animali.
Per i generici è lo stesso: un generico, quando viene messo in commercio, NON viene ri-testato su animali. Su questo punto esiste una dichiarazione formale dell'Assogenerici (l'Associazione italiana dei produttori di farmaci generici). Perciò, scegliere di usare un generico, cioè un farmaco VECCHIO oppure un farmaco "di marca", cioè uno NUOVO, fa una differenza enorme: nel primo caso, non incrementiamo la vivisezione (e siamo anche più tranquilli perché se un farmaco è ancora in commercio dopo 20 anni vuol dire che non è così pericoloso per la salute umana), nel secondo caso diamo soldi alle industrie farmaceutiche per aver sviluppato nuovi farmaci testati su animali.
Qui c'è ancora una puntualizzazione importante da fare: quando un farmaco va fuori brevetto, la casa farmaceutica si affretta a produrne un altro che curi lo stesso sintomo, per non perdere quote di mercato. Ma spesso accade che i nuovi farmaci non siano migliori dei precedenti, ma, anzi, siano peggiori, o perché curano meno, o perché hanno più effetti collaterali. Ma non importa, l'importante è avere un farmaco nuovo, sotto brevetto, e più costoso.
Qualche esempio:
Secondo quanto riportato da Clifton Leaf in un articolo apparso nel marzo 2004 sulla rivista "Fortune", uno studio indipendente condotto in Europa ha mostrato su 12 nuovi farmaci antitumorali approvati in Europa tra il 1995 e il 2000 nessuno era migliore in termini di miglioramento della sopravvivenza, della qualità della vita, o della sicurezza, rispetto ai vecchi farmaci rimpiazzati. Ma, dal punto di vista delle aziende farmaceutiche, avevano un grosso vantaggio: un prezzo di vendita molto più elevato delle precedenti. In un caso, sostiene Leaf, il costo era 350 volte quello del farmaco "vecchio".
Leaf sottolinea che i due nuovi farmaci che vanno per la maggiore, Avastin e Erbitux non hanno una reale efficacia. Secondo Leaf, Avastin è riuscito ad allungare la vita di soli 4.7 mesi a 400 pazienti terminali malati di cancro al colon-retto e Erbitux, anche se fa diminuire le dimensioni del tumore, non ha dimostrato di allungare la vita dei pazienti. Eppure, una dose settimanale costa 2400 dollari.
Dati che dimostrano ancora una volta come la ricerca medica venga portata avanti - sia dagli enti no-profit che a maggior ragione dalle aziende farmaceutiche - con il solo scopo del guadagno. Sulla pelle degli animali e dei malati.
(Fonte: Clifton Leaf, Why we're losing the war on cancer. Fortune March 2004;149(6):76-97 - http://www.fortune.com/fortune/articles/0,15114,598425,00.html)
La scelta del generico al posto del farmaco di marca, dunque, può essere uno strumento veramente efficace da usare per non rimpinguare le casse delle case farmaceutiche e per non "aiutarle" a mettere in commercio farmaci sempre nuovi - e inutili - testati su animali.
La scelta in questo caso è infinitamente più semplice che per i cosmetici, perché, mentre per i cosmetici non esiste un "marchio" che li contraddistingue, ma bisogna munirsi di una lista di aziende "positive" (e sperare che sia quella giusta), per i farmaci è facilissimo: quando andate a comprarne uno in farmacia, potete chiedere al farmacista "Esiste un generico corrispondente?". E lui è tenuto a dirvelo. Anzi: dovrebbe proporvelo lui, per legge.
E facendo così, risparmiate anche dei soldi: i generici costano meno, per legge almeno il 20% in meno del corrispondente farmaco "di marca" ed inoltre sono totalmente coperti dal servizio sanitario nazionale. Dovrebbe funzionare così: il medico vi prescrive un farmaco. Voi andate in farmaci a comprarlo. Il farmacista vi propone il generico (se non lo fa, lo potete chiedere voi). Se voi prendete il generico, non pagate niente. Se volete quello "di marca" pagate la differenza di costo rispetto al generico di tasca vostra.
Al contrario di quanto accade per i cosmetici "cruelty-free", che non sono disponibili tra quelli a basso prezzo venduti nei supermercati, ma vanno cercati in erboristeria o in catene apposite.
In molti paesi europei, sì. In Germania, il 39% della spesa per i farmaci, è costituita da generici. In Regno Unito il 22%, in Olanda il 13%, in Danimarca il 38%. In Francia e Italia, no, siamo a un misero 2%. Perché? Io credo sia perché qui in Italia siamo più disinformati e paurosi: se siamo abituati a un certo nome, o se il medico ci prescrive quello, vogliamo quello, rifiutiamo il generico, pensando che sia qualcosa di qualità inferiore (dato che costa pure meno).
Ma ovviamente non è così, basta pensarci in maniera razionale per capirlo: il principio attivo è lo stesso, le dosi pure, quindi il farmaco è del tutto identico. E costa meno perché la nuova ditta produttrice non ha dovuto sostenere i costi della ricerca.
Il sistema sanitario nazionale chiaramente sostiene l'uso dei generici perché questo fa diminuire sensibilmente la spesa statale per la salute pubblica.
In definitiva, dal 2001 le cose che possiamo fare come consumatori per combattere la vivisezione non sono più solo 2, sono 3, e questa nuova possibilità è probabilmente la più efficace, perché in grado di influire in modo molto potente sui guadagni dell'industria farmaceutica. Perciò, se DOVETE comprare un farmaco, chiedete sempre quello generico, e invitate tutti i vostri parenti e conoscenti avidi consumatori di farmaci a fare lo stesso, spiegando loro le ragioni - quelle economiche per prime, se non sono animalisti!
Crimini nascosti
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Se non hai il coraggio di guardare cosa succede nei laboratori di vivisezione, a maggior ragione: